Una scuola per imparare a camminare?

“Se iniziassimo a mandare i bambini a scuola a 6 mesi e gli insegnanti dessero loro lezioni su come camminare, nel giro di una generazione ci convinceremmo che per imparare a camminare sia necessario andare a scuola.”

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in questa frase un po’ provocatoria scritta da un imprenditore sui social e lì diventa virale. È chiaramente un’esagerazione ma credo che il messaggio che possiamo trarne sia questo: insegnare e imparare sono due processi distinti, non tutto quello che deve essere imparato va necessariamente insegnato e non sempre insegnare è il modo migliore per favorire l’apprendimento.

Spesso ci concentriamo più sul fare che sull’accompagnare e sul far fare che sul mostrare con l’esempio.

Eppure i bambini con la loro innata curiosità sono naturalmente portati a imparare. Vogliono dare un senso alle cose e alle relazioni. Osservano, provano, testano, associano, deducono e capiscono. I bambini procedono nell'apprendimento in maniera empirica, hanno bisogno di fare esperienza, spesso di provare più e più volte la stessa cosa fino a sentire di averla compresa a fondo o di essere diventati “esperti” in tale operazione. I bambini sono tenaci. Nel processo che li porta a imparare a camminare, per tornare all’esempio, fanno migliaia di tentativi giorno dopo giorno e sopportano innumerevoli cadute, ma non si scoraggiano. Nessun bambino dice “Basta ci rinuncio, non cammino”. Perché?

  1. perché vogliono imparare


  2. perché non hanno ancora interiorizzato che “cadere è sbagliato”

Motivazione

La motivazione è un elemento fondamentale di ogni processo di apprendimento. Io imparo perché voglio imparare, perché mi interessa, perché penso che questo possa essermi utile.

Daniela Lucangeli, nel suo ultimo libro Dall'io al noi, scrive: “L'unica motivazione in grado di sostenere a lungo il bambino nel suo percorso di apprendimento è quella intrinseca, ed è l'orientamento a un fine personale che egli stesso valuta importante per sé.”

Maria Montessori sosteneva che il compito dell'adulto non sia insegnare, ma osservare il bambino: mettere il suo interesse al centro, seguirlo e dargli la possibilità di sperimentare. A questo fine, la preparazione di un ambiente stimolante, che rispetti gli interessi della bambina, che favorisca la possibilità di imparare e scoprire in modo autonomo e che ponga delle piccole sfide alla sua portata è di fondamentale importanza perché rafforza l'amore per l'apprendimento e la fiducia nelle proprie capacità.

Incoraggiamento

I bambini, dicevamo, sono intrinsecamente motivati a comprendere come funziona il mondo e hanno i loro interessi, che perseguono con determinazione e creatività...se non vengono ostacolati dalle nostre interferenze! Accanto ai bambini, infatti, ci siamo noi genitori, con le nostre idee su cosa dovrebbe interessare ai nostri figli e con le nostre ansie da prestazione.

Esempio: il cuginetto di 4 anni e mezzo sa già leggere e non vogliamo che si pensi che nostro figlio di 5 anni sia “meno intelligente”, così lo stimoliamo a imparare le lettere anche se non mostra alcun interesse.

Oppure magari seguiamo i bambini, ma poi vogliamo imporre i nostri tempi e i nostri standard: ci troviamo così a suggerire questo o quel modo di fare le cose, a imbeccare le soluzioni o a mettere fretta.

“Se, nella nostra ansia di insegnare e aiutarli, invieremo loro troppi messaggi di sfiducia e dubbio, distruggeremo in fretta gran parte della fiducia che ripongono nella loro capacità di imparare da soli e li convinceremo che sono troppo pigri, apatici e stupidi per imparare. Avremo così realizzato le nostre paure.”
John Holt, Come apprendono i bambini

Questo punto è fondamentale: i bambini sono estremamente sensibili al nostro giudizio: è facilissimo ferirli, umiliarli e scoraggiarli. Dobbiamo quindi prestare particolare attenzione al modo in cui elaboriamo i nostri feedback cercando di evitare qualsiasi formulazione che possa generare vergogna perché la vergogna è nemica dell'apprendimento. Un bambino che prova vergogna tende a chiudersi, scoraggiarsi e rifiutarsi.

Il contrario della vergogna sono la connessione, la fiducia e l'incoraggiamento.

Errori

Errare è umano”
Sbagliando si impara”
Chi non fa non sbaglia”

È pieno di modi di dire che tendono a “normalizzare” l'errore come parte necessaria del processo di apprendimento. Eppure nel rapporto con noi stessi e nelle nostre relazioni tendiamo a essere piuttosto severi rispetto agli errori, come a dire: avevi tutte le informazioni necessarie a non commetterlo, se lo hai fatto ugualmente significa che volevi farlo. Attribuendo volontarietà all'errore individuiamo una colpa e la colpa nella nostra mente richiama la necessità di una punizione. Non ho qui lo spazio per una dissertazione sull'inefficacia delle punizioni rispetto all'obiettivo di insegnare qualcosa, lo do quindi per assimilato.

Punire una bambina per i suoi errori è antitetico a insegnarle qualsiasi cosa se non ad aver paura di sbagliare. E la paura di sbagliare è l'anticamera dell'ansia e dell'infelicità: poiché non è possibile non sbagliare mai, se temiamo l'errore perché ci definisce negativamente vivremo in un costante stato di angoscia e di avversione a qualsiasi forma di rischio o novità.

[Questo è un estratto da una newsletter del Genitore Consapevole. Se vuoi iscriverti clicca qui]
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Bias di conferma, etichette e genitorialità

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