Ma non è che la disciplina positiva non funziona?

Hai dei dubbi nel portare avanti un’educazione fondata su rispetto ed empatia? Quali?

Ho fatto questa domanda sui social e ho ricevuto diverse risposte. Non ho potuto scrivere a tutti ma voglio riportare qui un paio di scambi che possono essere utili.

Alessandra: “Il dubbio più grande è come riuscire a scindere l'utilità di un'educazione fondata su rispetto ed empatia con il risultato a breve termine. Nel breve un'educazione gentile è meno efficace di un'educazione più impositiva. L'educazione impositiva, seppur con tutta una serie di enormi svantaggi e danni, ha il "vantaggio" di ottenere un risultato immediato molto più netto. L'educazione gentile e rispettosa ha bisogno di tempo, di pazienza. Ma a volte hai bisogno di raggiungere il risultato subito (per mille motivi legati ai ritmi delle nostre giornate). Ed è qui che vacilli. Perché a volte il tempo che hai a disposizione non è quello che servirebbe per un'educazione gentile. E allora la necessità del risultato immediato prevale sulle riflessioni degli effetti a lungo termine.”

La mia risposta: “Secondo me dipende da quale risultato intendiamo. Se parliamo di obbedienza cieca, ovviamente sì. Se parliamo di ottenere la collaborazione e tenere i limiti, questo non è incompatibile con l'educazione rispettosa, anzi!!! Solo che è meno facile. Secondo me il prezzo è un maggiore impegno e maggiore fatica, non minori risultati. Condivido un aneddoto personale: l'altro giorno mia figlia voleva che le comprassi una maglietta. Io le ho detto di no. Lei ha provato a convincermi ma io ho tenuto il punto. Allora lei ha iniziato a manifestare il suo fastidio e la sua delusione. Io ho accettato che si sentisse così. Ho fatto fatica perché stare davanti alle emozioni "scomode" dei nostri figli richiede grande auto-regolazione, ma ne siamo uscite bene (una mezz'oretta dopo). Con un diverso approccio le avrei detto: "non puoi avere la maglietta e non provare a fare l'offesa se no stasera non vedi i cartoni". Lei avrebbe nascosto come si sentiva e io avrei fatto meno fatica. Non è quello che mi interessa: il “risultato” per me non è non fare fatica ma farle sentire che lei a diritto di sentirsi come si sente (e piano piano insegnarle a regolarsi: su questo ha fatto grandissimi progressi anche se ovviamente non è ancora arrivata!) Se poi una volta mi (o ti o vi) serve scegliere la strada più facile, possiamo farlo, non vuole dire che siamo cattivi"! Ricordiamoci che vale il principio per cui è importante che " la maggior parte delle interazioni" siano portate avanti in un certo modo, non serve che siano TUTTE!”

Alessandra: “Condivido al 100% ma se in quel momento non avevi a disposizione quella mezz'ora e avevi un appuntamento 5 minuti dopo? Sono questi tempi stretti che a volte mandano in fatica la capacità di gestire correttamente e costruttivamente le situazioni.”

La mia risposta: “ESATTO! Il problema non è il tipo di educazione ma la vita che facciamo che non ci consente di accettare le conseguenze delle nostre scelte e quindi ci priva di ogni autorevolezza.

Marco: “Sì, ho dubbi. Purtroppo vedo che spesso i miei figli non cambiano in meglio il loro comportamento ma se ne approfittano. Invece quando perdo la pazienza immediatamente ottengo quello che desidero.”

La mia risposta: “Grazie Marco. La paura non ha eguali come strumento di modifica del comportamento. La motivazione alla base di quella modifica mi lascia molto perplessa. Però sono domande che è giusto farsi. Ieri ne parlavamo con nostra figlia di 6 anni. Le ho detto che stavo scrivendo di questo tema e volevo sapere il suo punto di vista. Le abbiamo fatto notare che con il papà che a volte alza la voce e si arrabbia di più, spesso lei risponde più velocemente che con me (facendo quello che lui chiede). Lei ha detto "Ma papà a volte mi fa paura" (ci tengo a dire che mio marito è meraviglioso con lei e che non trovo problematico il modo in cui a volte alza la voce. Anche se non mi piace molto lo capisco e lei lo può reggere). Le abbiamo chiesto se quando ho bisogno che collabori dovrei farle paura. Ha abbassato gli occhi e ha detto: "No, bisogna provare e riprovare con i bambini. Se non ti ascolto per due anni allora puoi minacciarmi ma se no continua a provare." Poi mi è venuta in braccio e per me ha detto tutto quello che c'era da dire.”

Giulia: “Spero di riuscire a spiegarmi bene: bimba di 10 anni, figlia unica: a volte temo che questo approccio, in cui però credo molto, sia troppo "morbido". Temo di crescerla in una specie di mondo "fatato" in cui le persone cercano di essere gentili, di trovare modi di comunicare e risolvere gli scontri, lavorano su sé stesse per rompere circoli viziosi...voglio che sia così ma allo stesso tempo mi chiedo: affrontare anche situazioni in cui gli adulti sono meno attenti e meno accomodanti non le darebbe degli strumenti in più per gestire le relazioni fuori casa?”

La mia risposta: “Ciao Giulia, io credo che abituarsi alla gentilezza voglia dire imparare a riconoscere scortesia, ingiustizia e soprusi. Essere cresciuti senza rispetto invece vuol dire imparare ad aspettarsi aggressività e prevaricazione e quindi sì, ci si fa la corazza, ma poi non le si mette in discussione e si crede sia normale doverci convivere...”

Dubbi e testimonianze di altre mamme:

  • Sara: “A volte mi viene il dubbio se tutte queste notevoli attenzioni che ho nella scelta delle parole e delle frasi che uso con mio figlio siano così necessarie. Un po’ penso che la comunicazione non è solo verbale e che quindi se anche ho detto la "frase giusta" ma dentro sono magari infastidita o stanca secondo me mio figlio lo sente. Forse non succede nulla se a volte ci esce fuori come viene... A volte, quando sono un po’ negativa mi assale il timore di essere troppo accogliente nei suoi confronti e forse non averlo allenato abbastanza ad atteggiamenti e reazioni più socialmente apprezzabili..non so se mi spiego…”

  • Giada: “Ciao Elisa, i dubbi ce li ha chi ci circonda (nonni, amici, a volte le maestre dell'infanzia). Io e mio marito siamo abbastanza sereni nel mettere in pratica uno stile genitoriale più empatico e rispettoso. Personalmente più che dubbi a volte provo sconforto di fronte all'ennesimo tentativo di mia figlia (6yo) di testare i nostri limiti, di contestare le regole che abbiamo però allo stesso tempo vedo che lei stessa mette in pratica alcuni aspetti positivi quali la mediazione, il compromesso, ecc. Non siamo perfetti eh ma non vedo altro metodo più in linea con i miei valori di questo.”

  • Silvia: “Io non avevo “scelto un tipo di educazione”alla nascita del mio primo bimbo, poi dopo il covid incinta della seconda mi sono trovata con lui che se aveva qualcosa in bocca lo voleva sputare .. e una volta è mancato poco che si strozzasse perché io avevo deciso che se lui lo aveva in bocca DOVEVA mandarlo giù. Mi sono detta “mai più una cosa del genere è il momento che io chieda una mano. E libri alla mano posso dire che 4 anni dopo guardo la me di allora e provo un senso di tenerezza . È uno stile educativo che approvo e appoggio. Detto questo non sempre mi viene bene e non sempre mi viene spontaneo. Sto normalizzando il concetto di fare del mio meglio con le risorse umane emotive ed economiche di quel singolo momento.”

  • Federica: “Il mio dubbio più grande è sempre quello di non riuscire a discernere il confine tra rispetto nei confronti di mia figlia e permissività, cioè se sto effettivamente comportandomi in maniera gentile o se la sto semplicemente accontentando o se le sto dando troppo potere decisionale. Inoltre un altro dubbio è se rimedio correttamente agli errori compiuti nei suoi confronti.”

  • Silvia: “Provo a verbalizzare un concetto difficile: mi sento serena nell’approccio condiviso che abbiamo sempre adottato. Nei momenti più delicati/di passaggio in cui emergono dei tratti nuovi e inaspettati del mio bimbo che sento di far più fatica a gestire la parte più complessa è sempre capire se si tratti di step “fisiologici” o se generati da qualche nostro sbaglio/inefficacia nell’applicare quello che avremmo voluto.”

  • Carla: “Il mio retaggio educativo spesso mi fa dubitare e pensare che non “punendo” lo stia viziando. Pur sapendo che così non è, il dubbio si insinua spesso.”

  • Laura: “Spesso mi confronto con la realtà opposta che purtroppo ancora è dominante come educazione nelle famiglie d'oggi e allora mi chiedo se poi mio figlio riuscirà a farsi valere se quello che ha intorno è maleducazione. Esempio pratico. A lui è stato insegnato che se non vuole qualcosa o altro di usare la voce non le mani. Al parco capita che succeda qualcosa, che lui dica NO, che questo NO non venga rispettato e che anzi gli venga magari dato uno spintone o una sberla.. Lui non reagisce perché perché gli è stato insegnato che le mani non si usano. Piange e viene da me sconsolato. Ecco ho paura che venga "mangiato" da questo tipo di comportamento. Ah , 9 su 10 l'altro genitore è al Cell su una panchina e manco si è accorto di quello che è successo o se si è accorto non fa nulla al riguardo.”

  • Greta: “I miei dubbi:

    • sono io la prima a sclerare di tanto in tanto e a non dare buon esempio

    • il partner non ci crede e sostiene che gliela " dia vinta", e "vedrai quando un giorno ti tratterà come una pezza"

    • non riesco ad applicarla io per prima con il partner (tendo al passivo aggressivo e sono in crisi di coppia)

    • come sarà dare questa chiave in un sistema scolastico e sociale che tende alla performance?”

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