Che fatica giocare con i figli, ma che risorsa!
Che fatica giocare con i figli!
Qualche tempo fa ho chiesto ai genitori che mi seguono su instagram: “a cosa giocate in casa?” L'elenco che ne è scaturito è lungo e ricco: the flor is lava, carte, giochi di ruolo, costruzioni, palla, macchinine, nascondino, acchiapparella, giochi da tavolo, didò, travasi, rompicapo eccetera.
Ma quando spostiamo la conversazione sulle emozioni che i genitori provano mentre giocano con i figli, il discorso di fa più complesso:
Lucia mi ha scritto questo messaggio che sono sicura rispecchia il sentire di molti genitori. “Mio figlio ha 5 anni, è figlio unico, e ci chiede più volte al giorno di giocare con lui. Io (lo dico come mi viene)... non ho voglia. Un po' è perché non ho tempo, ma soprattutto non ne ho voglia. Inventare storie con lui per me è come una montagna da scalare. Faticosissimo. (…) Ogni volta che me lo chiede mi cadono le braccia, perché istintivamente dico di no, ma poi mi sento in colpa. Ho notato che ci sono diverse cose però che amo fare con lui: colorare insieme, fare un puzzle, leggere libri, fare un activity book, costruire qualcosa con i Lego (invece che giocarci facendo le storie). Gliele propongo sempre come alternative, ma lui ama i giochi con i "pupazzini che parlano" e io non ce la posso fare. Mi sento molto in colpa per questo ma è più forte di me. A volte mi sforzo ma credo si noti che non lo faccio volentieri.”
Quando ho chiesto a mamme e papà “cosa ti pesa quando tuo figlio o figlia ti chiede di giocare?” Le risposte sono state altrettanto sincere:
sono stanca, non ho energie per giocare con i bambini
mi annoio a giovare con mio figlio di 4 anni
non ho voglia di giocare con lei e poi mi sento in colpa
non riesco a non pensare alle altre cose da fare e quindi gioco ma sono distratta
mio fglio non ne ha mai abbastanza, gioco un po’ e poi lui non si accontenta
mio figlio si arrabbia quando perde e poi esplode. Se no bara. Entrambe le cose mi fanno uscire di testa
mia figlia vuole fare lo stesso gioco all'infinito, senza variazioni
vorrei che mio figlio giocasse da solo
so che se giochiamo insieme finiremo per litigare
mi irrita la sua competitività: vuole vincere per forza se no si offende
mi infastidisce il fatto che si debba stare sempre alle sue direttive
Sono tanti i genitori che provano sincera fatica a giocare con i loro figli. Sono genitori amorevoli che sono disposti anche a enormi sacrifici, ma che quando si tratta di sedersi a terra e giocare sentono che lo sforzo richiesto è di sopra delle loro possibilità. Giocare sembra spesso, agli adulti, una perdita di tempo, o una cosa che i bambini dovrebbero fare con gli altri bambini e anche, in tanti casi, una cosa noiosissima.
Il gioco è il linguaggio dei bambini
Oggi voglio parlarti del gioco come di una lingua da imparare: una lingua che permette di creare maggiore connessione e comprensione tra adulti e bambini. Il gioco è uno strumento potente che, se usato consapevolmente dai genitori, può portare numerosi benefici alla crescita e maturazione dei bambini. Soprattutto, il gioco è il linguaggio dei bambini: è il loro modo di esprimere ciò che hanno dentro, di processare le esperienze vissute, di imparare nuove competenze e di relazionarsi con gli altri. È attraverso il gioco che i bambini si appropriano del mondo e cercano di dargli un senso.
Giocare con i nostri figli può essere una scelta consapevole, piuttosto che un obbligo: una scelta win-win, in cui entrambe le parti guadagnano qualcosa. Sottovalutiamo immensamente i benefici del gioco e del divertimento in famiglia, e oggi voglio aiutarti a riconsiderarli.
Quando uso la parola “gioco”, intendo qualcosa di più ampio rispetto al significato comune: il gioco è qualsiasi sequenza di interazioni tra adulto e bambino che avvengono in un contesto di sicurezza fisica ed emotiva, e che creano connessione e piacevolezza. La genitorialità giocosa è un modo di stare nella relazione, e quindi oltre al fatto di fermarsi e giocare (a un gioco di squadra, di società o di ruolo), ha a che fare con il modo in cui facciamo e diciamo ciò che facciamo e diciamo. I suoi presupposti sono curiosità, creatività e disponibilità, che sono qualità che possiamo scegliere di allenare se non sentiamo di esservi particolarmente portati.
Il gioco come opportunità
Marco è papà di 3 figli di 10, 8 anni e 4 anni. Risponde sempre ai miei sondaggi e alle mie domande su instagram o sulla newsletter e mi è capitato spesso di condividere le sue parole con voi, tanto che gli ho chiesto di presentarsi e raccontarmi un po' di più di sé:
“Sono un ingegnere, lavoro come progettista in un'azienda metalmeccanica, mi piacciono molto la montagna e l'arrampicata, e in famiglia adoriamo la lettura. Ho conosciuto la tua figura professionale grazie ad un articolo su internet (e in seguito su instagram), perché ero molto interessato al tema dell'educazione, in quanto sentivo che il mio modo di relazionarmi con i miei figli nelle situazioni di fatica e tensione fosse sbagliato: troppe urla, troppa autorità, dialogo a senso unico, troppa rabbia in circolo. Poca serenità, e i miei figli e la mia famiglia non se lo meritano.”
Marco sta quindi facendo il suo viaggio nella genitorialità consapevole e rispettosa, insieme a sua moglie, e come ognuno di noi, lo fa potenziando le proprie risolse e lavorando sui propri limiti. A proposito di gioco mi ha scritto questo:
“Direi che è stata una delle grandi sorprese del diventare genitore. Essere padre mi ha fatto ricordare molto della mia infanzia e di come sono stato figlio. Mio padre è stato un ottimo padre, ma a causa dei suoi impegni lavorativi tornava a casa all'ora di cena, a volte dopo, e, a parte la domenica, non c'era un tempo quotidiano per il gioco. Non faceva neanche troppo parte della cultura genitoriale della sua generazione, sicuramente (è del '46). Quindi, forse un po' in risposta a questo, ho sempre cercato di vivere pienamente e quotidianamente il gioco, il disegno, la lettura e le scoperte con i miei figli, dando attenzione e pensando alle attività (non si va mai in montagna senza lo zaino dei giochi: scacchi, carte, carte di UNO, palla, frisbee, coltellino per fare la punta ai rami).
(…) Avere la possibilità di vedere i miei figli al mattino e stare con loro nel pomeriggio fa parte della mia "paga" lavorativa, lo considero un enorme benefit. Adoro insegnargli giochi nuovi (specie quelli all'aperto), adoro aiutarli negli esperimenti o proporgliene, insegnargli metodi di disegno diversi.
Perché nel gioco c'è molta crescita, c'è molta sfida con sé stessi, ed è il momento in cui in assoluto di più riesco ad insegnargli il valore del fallimento, della sconfitta come apprendimento, del valore dell'esercizio e della costanza per arrivare a un risultato. Attraverso il gioco sono riuscito a passare loro l'idea del valutare il successo come impegno, e non come vittoria su qualcuno o come eccellenza. Sono felicissimo quando mio figlio mi fa vedere i suoi fumetti che disegna, lui che pensava di "non essere capace a disegnare". È bello vederli migliorare in qualche attività, acquisendo fiducia. Il gioco è importante, ed è sempre stato un importante momento di relazione. Fermarmi a giocare con loro significa "tu sei importante per me", "il tempo con te ha valore". E ha insegnato a me e a loro una delle nostre regole più importanti "Le promesse si mantengono". Se prometto loro che giocheremo insieme, è così, non ci sono impegni che tengano (è uno dei pochi successi che mi riconosco come genitore), sanno che si possono fidare di me.
Credo di non essermi reso conto che in fondo mi erano mancati questi momenti con mio padre, finché non ho avuto io l'occasione di esserlo.
Poi, nella pratica, non sono mai paziente come vorrei, accogliente come vorrei, comprensivo come vorrei, ma provo a correggermi.”
Quando ho letto la mail di Marco volevo saltare di gioia e per questo ho deciso di condividerla anche qui, perché lui arriva con la sua esperienza familiare esattamente dove arrivo io con la teoria e lo studio (e ovviamente anche la mia esperienza personale).
Sul mio canale youtube trovi in video sulla genitorialità giocosa.
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