Super genitori e figli “viziati”
Così lo vizi!!!
La paura di viziare i bambini, di crescere individui egocentrici e capricciosi, è stato il leitmotiv dell'educazione tradizionale. Il rimprovero così lo vizi! ha spesso gettato nel panico mamme e papà (lo stiamo viziando?) inducendoli a inasprire in modo piuttosto casuale il proprio stile educativo e relazionale.
Ha senso provare a chiedersi, oggi, alla luce di tutto quello che sappiamo in più su crescita e sviluppo dei bambini, se e come rischiamo di viziarli.
Partiamo dal dizionario. La prima definizione di viziare che troviamo sulla Treccani dice:
“Indurre volontariamente o involontariamente qualcuno, con metodi educativi troppo indulgenti o permissivi, a cattive abitudini, a comportamenti scorretti, a voler essere sempre accontentato”
È una definizione che non ci sorprende. Si fa riferimento a uno stile educativo indulgente o permissivo e quindi a una scarsa autorevolezza del genitore. La risposta diffusa a questo rischio percepito è stata quella di usare il “pugno duro”, di “far vedere chi comanda”, di reprimere con un atteggiamento autoritario le prese di posizione dei bambini affinché non si facessero venire “strane idee”. Oggi sappiamo che un approccio di questo tipo ha effetti negativi nel lungo periodo, soprattutto nella sfera emotiva e relazionale di quel bambino o bambina che diventerà adulto.
Tanti genitori contemporanei sono molto accudenti e protettivi, molto consapevoli dell'importanza del proprio ruolo e impegnati ad offrire ai propri figli “il meglio possibile”. Spesso ci si impegna formalmente per non far subire al bambino quello che si è subìto da piccoli e capita che si mettano in atto meccanismi di iper-compensazione (“Non la farò MAI sentire inascoltata”).
Emerge allora una nuova accezione del viziare, che ha a che fare con la seconda definizione del verbo. Faccio sempre riferimento alla Treccani:
“Far diventare difettoso, imperfetto e non funzionante”
Quello che i genitori iper protettivi rischiano di fare è viziare (=corrompere, guastare, rendere difettosa) la capacità dei bambini di tollerare la fatica e la frustrazione, di superare ostacoli e difficoltà e di relazionarsi con gli altri in modo sano.
Come lo facciamo? Ecco alcuni esempi:
Quando cerchiamo di rendergli le cose più facili e rimuoviamo dalla loro “strada” (sia fisica che figurata) ogni ostacolo
Quando mentiamo loro per proteggerli da verità scomode o tristi
Quando da piccoli li intratteniamo costantemente, privandoli dell'opportunità di sperimentare la noia e imparare a intrattenersi da soli
Quando li distraiamo da un'emozione forte per mantenere un'apparente armonia
Quando continuiamo a fare le cose per loro anche mentre crescono e sarebbero capaci di farle da sé
Quando non insegniamo loro a stare nel conflitto ma cerchiamo invece di evitare o appianare ogni divergenza
Quando non mettiamo limiti chiari che consentano loro di comprendere cosa è possibile e cosa no
Quando li abituiamo a che i loro desideri vengano prima dei nostri bisogni
Nel suo libro “Mamma, ho l'ansia”, la psicoterapeuta Stefania Andreoli usa con assiduità il termine Super Genitori per identificare quei genitori “bravissimi”, “le mamme e i papà da cui non si ha né fretta né granché voglia di separarsi” perché la vita con loro è gratificante, semplice e rassicurante.
L'altra faccia della medaglia di questo quadretto apparentemente idilliaco è che i figli da una parte si trovano a confrontarsi con adulti altamente performanti di cui rischiano di non sentirsi all'altezza o che temono di deludere, dall'altra non hanno l'occasione di conquistare la propria autonomia perché costantemente supportati e preceduti dai genitori in ogni difficoltà.
Dobbiamo stare attenti a non perdere di vista il fatto che il nostro obiettivo ultimo è quello di crescere individui che a un certo punto possano fare a meno di noi. La crescita è un lungo processo di separazione, un processo non perfettamente lineare che da una situazione di totale dipendenza deve portare a una condizione di totale indipendenza.
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