Perché non vuole fare i compiti?
Ho messo un box nelle storie per chiedervi di cosa desiderate che parli. Uno degli argomenti su cui mi avete sollecitata sono i compiti.
Ho ricevuto domande e testimonianze e voglio condividere il vostro vissuto e portare avanti alcune riflessioni.
Perché non vuole fare i compiti? Mi ha chiesto la mamma di un bambino di seconda.
Lascio la parola ad altre mamme, che hanno cercato di rispondere alla stessa domanda riflettendo sui loro figli.
“Non sono interessati. Li trovano inutili.” Maria
“Per loro due fare i compiti non ha senso: uno spreco di tempo, fatica inutile.” Laura
“Perché fa fatica.” Ilenia
“La grande è continuamente distratta dalla sorellina piccola, è difficile isolarsi e concentrarsi.” Dalila
“Vorrebbe fare altro, è troppo stanco.” Laura
“Tolgono tempo al gioco, alle coccole, agli amici.” Erika
Quindi, i bambini non hanno voglia di fare i compiti perché: fanno fatica, sono stanchi, si annoiano e vorrebbero fare altro.
A volte anche perché lo trovano molto frustrante.
“Se non le riesce subito giusto va nel pallone e non accetta di riprovare.” Chiara
“Cancella e corregge sul giusto perché mai perfetto.” Stefania
Cosa preferirebbero fare invece? L'ho chiesto a voi genitori:
“Giocare a lego, disegnare, giocare a giochi da tavolo, stare all'aria aperta.”
“Andare in bici e guardare la tv.”
“Giocare con gli amici.”
“Giocare e avere tempo libero come i fratelli più piccoli.”
Ci sembra strano che giocare e divertirsi sia più desiderabile che fare i compiti se i compiti sono difficili e noiosi? Probabilmente no, ma noi sappiamo che il dovere è dovere e vorremmo vedere nei nostri bambini un senso di responsabilità (e un po' di buonsenso perché a volte a farli ci si metterebbe molto meno che a lamentarsi!)
Ma noi e non i nostri bambini non abbiamo né lo stesso cervello né la stessa esperienza e quello che a noi sembra uno sforzo accettabile a loro sembra sovrumano.
Cosa possiamo fare allora?
Ti rispondo con le parole di Daniela Lucangeli:
“Come si rende meno faticoso possibile uno sforzo dispendioso come lo studio? Con un’emozione positiva.”
Già, un'emozione positiva. Può sembrarti una banalità, ma guarda queste testimonianze:
“Fa tutto tranne che concentrarsi e io perdo la pazienza” Daniela
“Mi innervosisco perché non vedo nella bambina la voglia di impegnarsi.” Manuela
“Continua a fare errori di proposito, ci fa innervosire tanto.” Valentina
La fatica dei bambini diventa la nostra fatica e si creano circoli viziosi di malumore e insofferenza che fanno sì che ai compiti si associno emozioni fortemente negative.
No, non è colpa dei genitori. I bambini avrebbero bisogno di forme di:
forme di apprendimento più esperienziali e meno nozionistiche
essere parte attiva di ciò che imparano e non solo di ricevere passivamente
capire in che modo quello che imparano gli è utile e poterlo appliare ai propri ambiti di interesse
affrontare sfide di livello ottimale per loro
sentirsi capaci e utili
familiarizzare con l'errore senza sentirsi costantemente giudicati
più tempo libero
più attività open-ended che permettano di applicare la propria creatività
Dopo aver condiviso queste riflessioni rispondo ad alcune delle domande che ho ricevuto. Ho coinvolto anche Veronica Togni, supervisore educativo e autrice del libro “Educare la mente educando il cuore. Le emozioni positive per un buon apprendimento e una crescita serena”.
Come aiutarlo nei compiti senza farlo innervosire e ottenere l'effetto opposto? (Elisa Pella)
Cosa lo fa innervosire?
Il fatto che lo correggi? Che lo incalzi? Che lo guardi?
È quello che fai? È come gli parli?
È solo che si sente frustrato e ha bisogno di un capro espiatorio?
Prova a capire meglio, forse ti sarà più facile poi scegliere in che direzione lavorare.
Se un bambino non vuole fare i compiti, meglio intervenire o farlo andare senza? (Veronica Togni)
“Quando un bambino non vuole fare i compiti, è importante trovare un equilibrio tra intervenire e permettergli di sperimentare le conseguenze delle sue scelte. Dipende anche dall’età del bambino. Nelle prime sezioni è bene che il genitore sia di supporto al bambino che deve ancora prendere le misure con la nuova realtà scolastica.
Alcuni suggerimenti su come gestire la situazione possono essere:
Cercare di capire perché il bambino non vuole fare i compiti. Potrebbe essere per stanchezza, difficoltà con il materiale, mancanza di motivazione o problemi di organizzazione
Stabilire una routine: la ripetitività quotidiana per i compiti può aiutare a creare un ambiente strutturato e prevedibile
Permettete al bambino di avere un certo grado di autonomia nel decidere come gestire i suoi compiti. Questo può aumentare la sua motivazione. Può ad esempio decidere con quale materia cominciare.
Offrire supporto se il bambino ha difficoltà ma evitare di fare i compiti al suo posto. È importante che impari a risolvere i problemi in autonomia
Se il problema persiste, può essere utile parlare con gli insegnanti per capire se ci sono strategie specifiche che possono essere utilizzate o se ci sono problemi di fondo che necessitano di attenzione
*Conseguenze naturali*: se il bambino sceglie di non fare i compiti, lasciarlo sperimentare le conseguenze naturali di questa scelta può essere un potente insegnamento sul valore della responsabilità e dell'impegno.
L'obiettivo è aiutare il bambino a sviluppare abitudini di studio positive e un senso di responsabilità PERSONALE, mosso da dentro, verso il suo lavoro scolastico.
Come mantenere l'equilibrio tra dare aiuto e stimolare l'indipendenza? (Elisa Pella)
Il nostro obiettivo come genitori è rendere autonomi i nostri figli. Il modo in cui li aiutiamo a raggiungere la loro indipendenza è supportandoli a ogni nuovo passo finché sono in grado di fare da soli. Dai l'aiuto minimo che necessario. Può essere utile confrontarsi con gli insegnanti e verificare se i compiti sono pensati per essere svolti in autonomia (di solito è così ma so che in alcune scuole invece l'apprendimento continua a casa e gli insegnanti si aspettano che i genitori intervengano).
Come si fa rendere il momento dei compiti più interessante o divertente? (Veronica Togni)
Risponde Veronica Togni: Ecco alcune idee:
Mescolare le attività per mantenere alta l’attenzione. Per lo stesso motivo è possibile inserire brevi pause ogni 20’ per fare qualcosa di movimentato (capriola sul letto, saltare, ballare e così via)
Collegare gli esercizi agli interessi personali dei bambini
Usare materiali accattivanti e colorati per spiegare in modo concreto le cose (es. uso di biglie per la matematica, stecca di cioccolato per spiegare le frazioni all’ora di merenda e così via..)
Caccia al tesoro di fine capitolo di studio, con domandine riguardo l’argomento
Come farle capire che va bene anche se non è perfetto? (Elisa Pella)
Spesso i bambini hanno un’idea di come vorrebbero fare le cose ma non le capacità per realizzarle e trovano la differenza tra intenzione e risultato estremamente frustrante. Stanno imparando sia ad affinare le proprie tecniche che a stabilire per sé aspettative più realistiche. Sono processi complessi e sfaccettati, sappi però che quando tu dici “va bene anche così”, tu hai ragione e hai le migliori intenzioni, ma lei pensa: perché non capisce che non è vero?
Come capire se c'è una neurodivergenza? (Veronica Togni)
Per capire se un bambino che fa fatica con i compiti possa avere una neurodivergenza richiede un'osservazione attenta e una valutazione approfondita.
Notate i comportamenti del bambino mentre svolge i compiti. Cercate di capire se ci sono difficoltà specifiche (es. nella lettura, scrittura, concentrazione, memoria) o se il problema è più generale.
Chiedere anche aiuto agli insegnanti per avere un quadro completo delle prestazioni scolastiche del bambino e confronta i loro feedback con le tue osservazioni a casa.
Se le difficoltà poi sono persistenti allora si può valutare la possibilità di fare una valutaIone con specialisti come psicologi, neuropsichiatri infantili o logopedisti. Questi professionisti possono somministrare test standardizzati per identificare eventuali disturbi dell'apprendimento o altre neurodivergenze.